 Pecchione il secchione
        
        Pecchione il secchione 
        
        
        Pecchione era il primo della classe.  Non lo faceva apposta: gli veniva così senza volerlo, fin dalla prima  elementare, e ormai non ne poteva più. Quando tornava al banco da una trionfale  interrogazione, i compagni sibilavano: «Pecchione secchione!», e le ragazze gli  preferivano Sgarbazza, il quale credeva che il perimetro fosse un condottiero  ateniese e confondeva Garibaldi con Gary Cooper, però in compenso possedeva una  Vespa truccata che pareva carrozzata dal dottor Frankenstein e sapeva  appiccicare al soffitto dell’Aula Magna, con un sol colpo magistrale, la più  malandata delle cicche di sigaretta. 
          E così un giorno Pecchione si  ribellò al suo crudele destino. Cominciò con l’applicarsi meno, con lo stare  disattento durante le lezioni, ma disponeva di un tale accumulo di nozioni che  gli otto e i nove continuavano implacabili a grandinare su di lui. 
          Allora decise di rivolgersi a uno  specialista e scelse Sgarbazza. 
          Sgarbazza era un veterano della  bocciatura: aveva preso una sufficienza una volta sola, in terza elementare, e  per premio il papà gli aveva regalato un bel rasoio elettrico. Ogni tanto  veniva promosso alla classe successiva per raggiunti limiti di età. Nessuno, in  tutto il liceo, sapeva a quale anno di corso fosse iscritto, anche perchè lui  non entrava mai in nessuna aula, ma trascorreva la sua esistenza tra i corridoi  e i servizi, dove aveva avviato un fortunato commercio di pennarelli e compassi  rubati. Sgarbazza stesso non aveva le idee chiare circa la sua classe di  appartenenza, e interrogato sull’argomento rispondeva: «Terza, quarta», senza  specificare se era la terza volta che ripeteva la quarta o la quarta che  ripeteva la terza.
          Comunque Sgarbazza era un bravo  ragazzo e, quando Pecchione gli espose il suo problema, acconsentì di buon  grado a dargli qualche lezione privata, dietro modico compenso.
          Per prima cosa gli insegnò a  frequentare le più malfamate tra le sale-gioco aperti la mattina: Pecchione  iniziò così a marinare la scuola, ma era un alunno tanto tranquillo che gli  insegnanti non si accorgevano delle sue assenze e si dimenticavano di  chiedergli le giustificazioni.
          Sgarbazza passò a metodi più decisi  e si diede a svolgere lui i compiti a casa di Pecchione, ma a nessun professore  passò mai in mente di controllare i quaderni all’allievo al di sopra di ogni  sospetto.
          Sgarbazza allora si rivolse ai  metodi estremi e dotò Pecchione di un intero repertorio di pernacchie e lanci  di palle di carta da eseguire durante l’ora di matematica alle spalle del  professore intento a scrivere alla lavagna. L’esito fu però infelicissimo:  immancabilmente, alla prima indecorosa strombazzata o al primo proiettile  giunto a segno, il docente senza voltarsi, ordinava: «Rossetti e Faldacci  fuori. Robinazzi, nota sul diario». Una volta il Pecchione si fece coraggio ed  esclamò: «Professore, sono stato io!». Allora l’insegnante si volse con gli  occhi pieni di lacrime e, memore del libro “Cuore”, abbracciò Pecchione  dicendo: «Sei un’anima nobile, ma non devi sacrificarti per questi sciagurati».  Poi lo propose per il “Premio della bontà”.
          A tal punto Sgarbazza si diede per  vinto e fornì al suo discepolo l’unico consiglio possibile: chiedere aiuto a  “Marmo”.
  “Marmo” era il nome di battaglia di  un personaggio ormai leggendario, recordman assoluto di bocciatura e primatista  di “Terza liceo” . La scuola aveva cercato di sbarazzarsi di lui in tutti i  modi: sostituendo i suoi compiti in classe e falsificando i voti sul registro,  gli insegnanti erano riusciti a portarlo fino all’ultimo anno del liceo, ma  l’ostacolo della Maturità era sempre stato invalicabile. Una volta, facendo  carte false, il preside aveva ottenuto per lui una commissione di esaminatori  dalle cui maniche sarebbe passato anche Dumbo, presieduta dal famoso Dolcinoni.  Costui, soprannominato Bigné, era completamente sordo: durante le sue interrogazioni  bastava muovere la bocca senza emettere alcun suono. Lui annuiva bonariamente e  promuoveva. Sempre. Il preside dunque gli buttò nell’aula Marmo e sedette fuori  ad aspettare. Dopo due minuti il Dolcinoni uscì singhiozzando «No, non posso!»  e si ritirò dall’insegnamento. 
  “Marmo” prese Pechione sotto la sua  protezione e gli rivelò i più subdoli trucchi del mestiere.
          Così l’infelice primo della classe  imparò il sistema dello “scambio di materia”, consistente nell’infarcire di  espressioni inglesi la versione di latino e viceversa; lo “Zampe di gallina”,  basato sulla ricopiatura in bella con la mano sinistra e gli occhi chiusi; il  dirompente metodo “Rabarbaro”, fondato sullo svolgimento del tema in classe a  base della ripetizione, per quattro facciate, della parola “Rabarbaro”.
          Ma i risultati non cambiarono e  allora lo sventurato Pecchione si rese conto della tremenda realtà: gli  insegnanti non guardavano neppure i suoi compiti e si limitavano a  classificarli con voti vertiginosi e giudizi al limite dell’untuoso. Una volta  che, disperato, si accanì sul foglio del componimento di italiano e lo presentò  a brandelli e tutto appallottolato, arrivò a ottenere un commento extra di  “lavoro lodevolmente sofferto”.
          Andò a finire che Pecchione si  rassegnò al fato ineluttabile.
          All’esame di maturità ebbe il  massimo dei voti con la ola dell’intera commissione e fu citato dai più  autorevoli quotidiani.
          Ma, come si sa, i primi della  classe sono gli ultimi nella vita. Terminati gli studi, Pecchione trovò un  impiego modestissimo e non fece la minima carriera. I più scalcinati compagni  di classe riuscirono meglio di lui. 
          E così il poveretto poté finalmente  rilassarsi. Per tutti c’è un raggio di sole.
          
          
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