 Le sorgenti del Nilo
        
        Le sorgenti del Nilo
        
        
Il conte colonnello Archibald Percy  Sheppleton oltre che conte e colonnello era un uomo che amava andare  controcorrente. Perciò decise di dedicare la vita alla ricerca delle sorgenti  del Nilo.
          Quello delle sorgenti del grande  fiume africano era un fittissimo mistero che, verso la fine del XIX secolo,  angosciava l’Europa intera. Ai bambini si poteva raccontare che il Nilo nasceva  sotto un cavolo e che lo portava la cicogna, ma che cosa rispondere alle  generazioni di adolescenti assetati di verità, alle popolazioni imploranti che  si maceravano nel dilemma? Interrogazioni parlamentari, dimostrazioni, sommosse  erano all’ordine del giorno, senza contare le legioni di infelici studenti  bocciati agli esami perché non sapevano rispondere alla crudele domanda, nonché  le epidemie di psicosi con infiniti casi di visionari (i cosiddetti “nilotici”)  che tempestavano di telefonate i pompieri, sostenendo di aver visto il Nilo  uscire da una fontana pubblica o dal rubinetto del lavandino.
          Al fine di risolvere la questione si  organizzarono così numerose spedizioni internazionali in Africa e, per  sicurezza, anche in Asia: vennero trovati il dottor Livingstone, Tarzan, pozzi  di petrolio e fonti di acqua ferruginosa, ma delle sospirate sorgenti nessuna  traccia. Il Nilo infatti era un fiume infido e traditore: il suo nome dimesso e  alla buona, che pareva un diminutivo, nascondeva in realtà una natura tortuosa  e dal fondo assai torbido.
          Ma il conte colonnello Archibald  Percy Sheppleton non era uomo che si lasciasse intimorire facilmente. Giunto  sulle rive del Nilo, gettò in acqua una barchetta di carta per vedere da che  parte andava la corrente, poi si incamminò deciso nella direzione opposta.
          Iniziò una caccia spietata.
          Il Nilo ricorse a tutti i suoi  trucchi, nascondendosi nelle foreste tropicali, procedendo a zig-zag, cercando  di seminare, sempre a ritroso, l’inseguitore nel deserto, dividendosi in Nilo  Bianco e Nilo Azzurro per confondergli le idee. Talvolta si restringeva  progressivamente fino a diventare un rigagnolo e , quando il conte colonnello  aveva già le lacrime agli occhi per la soddisfazione, convinto di essere  prossimo alla meta, si allargava improvvisamente formando laghi a forma di  pesci d’aprile. Da ultimo si mise a scorrere in senso inverso, attirando  l’incauto esploratore fino alla foce. A questo punto lo Sheppleton perse la  pazienza, la fiducia e anche i portatori indigeni, messi K.O. da una crisi  irrefrenabile di riso. Così ritornò immediatamente a Londra e si recò alla  Società Geografica, dove tenne una memorabile conferenza.
  «Signori – disse agli austeri e  barbuti studiosi che gremivano la sala, – credo, senza false modestie, che,  come il sottoscritto, esistano al mondo pochi conoscitori di acque, siano  dolci, salate o insipide. Ho veleggiato e vaporeggiato sui mari di ogni  latitudine e colore, dal Bianco al Nero, al Giallo; ho pagaiato, nuotato e  sguazzato in tutti i fiumi dell’orbe, dall’Aare allo Zuni; ho attraversato il  Rio delle Amazzoni, il Volga, il Rubicone e passato le acque a Chianciano e  Montecatini. Dunque è a ragion veduta e con piena cognizione di causa che,  senza tema di smentite, posso affermare quanto segue: il Nilo è un fiume  sporco, stupido e dalle origini equivoche». 
          Il discorso suscitò enorme scalpore  in tutto il mondo. Il Nilo, a cui la faccenda fu riferita da uno dei suoi  affluenti, si seccò e l’Egitto rimase senz’acqua per parecchi giorni mentre, in  segno di solidarietà con il collega africano, si verificavano una piena del Po  e uno straripamento dimostrativo del Mississippi. Una settimana dopo la  conferenza, poi, durante una passeggiata lungo il Tamigi, il conte colonnello  veniva aggredito da un coccodrillo improvvisamente emerso dalle acque. Prontamente  tratto in arresto da un solerte policeman, l’animale venne sottoposto a  interrogatorio: dapprima cercò di commuovere gli inquirenti con le sue lacrime,  poi sostenne di essere evaso dallo zoo, ma risultò chiaro a tutti che si  trattava di un sicario del malvagio Nilo e Archibald Percy Sheppleton giurò  solennemente di vendicarsi.
          Camuffato con barba e baffi  posticci, il conte colonnello ripartì in gran segreto per l’Africa.
          Era notte. Il Nilo dormiva  placidamente nel suo letto, sognando Cleopatra, una sua antica fiamma. Lo  Sheppleton cominciò a risalire il corso del fiume, camminando in punta di piedi  e canticchiando una ninna-nanna dei battellieri del Volga. Il Nilo diventava di  mano in mano fiumiciattolo, ruscello, rivoletto. E finalmente il conte colonnello  poté giungere là dove il dannato corso d’acqua sgorgava da una minuscola  fessura nella roccia. Era ormai l’alba. Archibald Percy Sheppleton trasse un  sospiro di sollievo. Quindi trasse di tasca un tappo di sughero e sogghignando  lo infilò nella fessura. 
          Da allora del Nilo e delle sue  sorgenti non si parlò più.
          
          
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