disegno umoristico


L’attrezzofobo

Vi sono persone implacabilmente precise e ordinate che vivono al motto di “L’attrezzo giusto per l’evenienza giusta”, possiedono chiavi inglesi, tedesche, svizzere, a tubo, a bussola, trapani elettrici con tutta la gamma di punte da legno, da muro, da acciaio, viti, cambrette, rivetti, rampini, rondelle normali, dentellate, grover, dadi quadri, ciechi, presbiti... insomma una dotazione che farebbe piangere d’invidia il più incallito negoziante di ferramenta. Si tratta di persone dall’esistenza grigia e monotona, delle quali non vale la pena occuparsi. Molto più appassionante, ricca di imprevisti e colpi di scena mozzafiato è invece la vita di quei Robinson Crusoe domestici che possiamo definire “attrezzofobi”.
L’attrezzofobia non è una malattia né una forma di incuria o disordine: è una filosofia di vita. La maggior parte di noi è lievemente attrezzofoba, ma la perfezione può essere riconosciuta solo a pochi eletti, particolarmente ammirevoli oggi che sfuggire ai richiami dei sempre più dilaganti “mercatoni per il fai da te”, “paradisi del bricolage” e simili rappresenta un’impresa eroica al limite dell’ascetismo. Per raggiungere i più alti e ammirevoli livelli di attrezzofobia bisogna assolutamente e inderogabilmente conformarsi alle seguenti norme:
1) Non possedere alcun attrezzo per falegnameria o meccanica ovvero, preferibilmente, possederne molti, ma disseminarli per tutta la casa, nei più reconditi e impensabili nascondigli, tipo armadietti per medicinali, scatole per scarpe, frigo-bar. Infatti, quando, nella necessità, poniamo di piantare un chiodo nel muro, l’attrezzofobo ululerà: «Il martello, dov’è quel maledetto martello?», guai a chi osasse fornirgli prontamente lo strumento! Gli darebbe un insostenibile dolore, privandolo della gioia satanica di conficcare il chiodo a scarpate o a colpi di ferro da stiro. Ciò che maggiormente soddisfa la creatività di un attrezzofobo è scoprire in un attrezzo potenzialità operative recondite e inespresse: eccolo allora estirpare chiodacci con un paio di forbicioni da giardinaggio o praticare fori nel legno con il cavatappi; per una sorta di senso di compensazione poi poterà le piante con la tenaglia e aprirà le bottiglie con il trapano.
2) Rifuggire dalle moderne diavolerie elettromeccaniche: al suono delle parole “Black e Decker” il vero atrezzofobo inorridisce come Dracula in presenza di una testa d’aglio; già la vite costituisce per lui un oggetto troppo evoluto e la accetta unicamente a patto di avvitarla servendosi delle lama di un coltello o di piantarla a martellate.
3) Bandire severamente collanti vinilici, attacca-tutto e simili mostruosità; ripiegare, all’occorrenza, sulle colle fatte in casa, con ricette da sabba infernali: il potere ineguagliabile di tali misture può essere verificato dalla tenace vischiosità che durante la preparazione lasceranno su pavimenti, mobili, vestiti, scarpe.
4) Per la riparazione di mobiletti, elettrodomestici, soprammobili, prediligere cordami e nastri di recupero, chiodoni a vista, nastro adesivo colorato, filo di ferro arrugginito.
5) Per le misurazioni diffidare di metri a nastro, righe, squadre, ma procedere a braccia, spanne, unghie. Sostituire i segni di matita con buchi nei muri e tacche sui mobili. Dovendo delineare sagome circolari, rifiutare con fermezza il compasso e servirsi di piatti, barattoli di vetro, bicchieri: questi, oltre a essere più originali, si rompono facilmente, fornendo splendide occasioni per sperimentare le famose colle ruspanti.
6) Altre regole da non dimenticare: la carta e il cartone vanno tagliati con il trinciapollo o con i denti; le scale a pioli sono ammesse solo se d’antiquariato e prive di almeno due scalini, altrimenti bisogna optare per le sedie impilate o lavorare a balzi; in caso di piccoli incidenti (inevitabili) è assolutamente controindicato l’impiego di disinfettanti da farmacia: ottimi, invece, il succo di limone, l’aceto, il nocino; per le fasciature non ricorrere a garze sterili, bende, cerotti, bensì a nastro isolante, carta igienica, brandelli di camicie vecchie e calzini rotti.
7) Al termine di ogni lavoro disastrosamente eseguito, accasciarsi sulla poltrona sospirando con aria vittimistica, rivolti ai familiari allibiti: «Ho fatto quello che ho potuto. Del resto, cosa pretendete che faccia, senza l’attrezzatura giusta?».

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